A chiederlo alle stelle

Era l’estate del 2002, la squadra italiana veniva miseramente eliminata dai mondiali di calcio, un po’ come l’anno scorso. Io non avevo ancora dieci anni e trascorrevo due settimane in un campeggio a pochi passi dalla spiaggia, un centro estivo con presunte attività per bambini (tra le quali costituire la banca del sangue per le zanzare), dove ero vittima di alcune bulle di poco più grandi di me. Vessata da ragazzine che trovavano divertente rendere le mie nottate un calvario, la sera rivolgevo lo sguardo al mare e vedevo nella luna piena la faccia tonda di mia madre che, con un coro di stelle intorno, mi incitava a tenere duro e resistere alle cattiverie che subivo. Fa un po’ ridere ma durante le giornate, quando la chiamavo dalla cabina telefonica, non trovavo il tempo o il coraggio di raccontarle niente.
Quando tornai a casa gonfia di punture di zanzara (mi scoprii allergica), la mamma mi spiegò che le angherie non vanno sopportate in silenzio: un consiglio che crescendo più d’uno torna a ritrattare.

Il caso vuole che i mondiali si tenessero in due Paesi che nel giro di 10 anni sarebbero stati di grande interesse per la sottoscritta: Giappone e Corea del Sud.

Quando al liceo cominciai a interessarmi al Giappone, venni a conoscenza di Tanabata, il 7 luglio: è la festa delle stelle e si esprimono desideri scrivendoli su bigliettini colorati (tanzaku) che si appendono a rami di bambù.
Il primo anno chiesi qualcosa di semplice e vago: credo di aver scritto giusto “felicitàperché era uno dei pochi ideogrammi che conoscevo.
L’anno successivo, dopo il diploma, chiesi di entrare nell’università per genietti che avevo puntato.
Un mese dopo mi ritrovai a vagare in scooter con un’amica sulle colline circostanti la mia città, alla disperata ricerca di un posto abbastanza buio dove fermarci a guardare le stelle cadenti, distese su una coperta. Sebbene fosse San Lorenzo e io puntassi molto sulla notte che precede il mio onomastico, non intravidi altro che una stellina che sfrecciava e implorai anche lei, silenziosamente, di farmi passare l’esame di ammissione.
Mi piaceva studiare l’estate prima dell’università (anche se molti direbbero che ho buttato quell’estate alle ortiche): dopo cinque anni di liceo mi sentivo in grado di studiare e approfondire in autonomia. Mi sembrava che ci fosse un posticino anche per me nella cerchia degli intelligenti e che pretenderlo fosse un diritto e non prensunzione. Confidavo nelle stelle, ma il giorno del primo test entrai letteralmente nel panico e ottenni un risultato appena sotto la soglia.
Il basso rendimento agli scritti mi perseguita tuttora alle volte, ma ho smesso di fare affidamento sulle stelle: almeno quelli dell’università si possono ripetere fino alla noia.

Un altro aspetto per cui ho chiesto spesso aiuto è stato quello sentimentale. Dalle medie in poi, ogni anno a gennaio compilavo una lista di desideri intitolata Come mi vedo tra un anno: in cima c’era sempre “fidanzata”, poi seguivano pronostici sui risultati scolastici e obiettivi da conseguire, ad esempio nei passatempi musicali.
Un bel giorno ho riso delle mie proiezioni e ho cercato di non avere più pretese con scadenze a 365 giorni.

L’estate dopo il primo anno di università ho scritto due tanzaku: nel primo ho chiesto che io e una persona ci chiarissimo, il secondo erano auguri generici per un gruppo di amiche amanti dell’oriente di cui facevo parte. Il gruppo si è frammentato a fine estate. Con la persona del primo tanzaku ho parlato, così facendo ho ricevuto soddisfazioni ed emozioni, ma forse non sono mai riuscita a chiarirmi del tutto e dopo diversi mesi ci ho guadagnato più che altro una grande tristezza.

Insomma, le stelle non sono state un granché generose con la sottoscritta. Ma so che dare la colpa a loro è infantile.
In realtà noi sappiamo circoscrivere bene i punti problematici, le situazioni che hanno bisogno di una spintarella, ma si sa: la soluzione deve venire da noi stessi, perché le stelle stanno lì dentro. Scusate, non ho resistito alla frase zuccherosa!

Un anno dopo ancora ho guardato il bambù adorno di bigliettini e gli ho fatto la linguaccia: da me non ne avrebbe avuti altri.
Ho deciso di partecipare a un concorso letterario. Mi sono rimboccata le maniche. Ho scritto nelle nottate d’estate rimanendo in camera, senza sbirciare dalla finestra.
Non ho chiesto alle stelle.
Non ho chiesto alla luna.
È arrivato l’inverno. Diverse notti ho dovuto aspettare il verdetto ma ho cercato di dormire, anche se non mi riusciva.
E poi ho avuto la soddisfazione di vincere. Senza stelle e senza bigliettini.

Chiuso anche quel capitolo, la mia vita procede, di Capodanno in Tanabata in San Lorenzo, di esame in esame, di timore in sfida.
E di esame in esame… sono arrivata alla laurea triennale venerdì 17 luglio, giorno che molti riterrebbero sfortunato ma che, come ho già detto, a me è andato benissimo!

Quello che so è che ho tanta strada da fare.
So che devo smettere di chiedere con titubanza e cominciare a impegnarmi.

La stella non è la causa: è il fine, perché è tanto luminosa che basta quella a procedere lungo la strada che ci prefiggiamo.

[Questo post è stato scritto circa un anno fa. Ho deciso di aggiornare solo l’indispensabile e pubblicarlo stasera, alla vigilia di San Lorenzo.]

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