L’intelligenza naturale è l’ultima frontiera dell’IA

Buonasera lettori, torno sul mio blog dopo svariato tempo: vorrei e potrei scrivere di tante cose, pensieri accumulati a febbraio, durante gli esami… Ma stasera mi sento proprio di parlare di Intelligenza Artificiale, un argomento di cui sto studiando qualche brandello all’Università e che mi ha appassionata veramente tanto questo mese.

Come molti sapranno, questo marzo si è svolto l’incontro epico in cinque partite tra uno dei giocatori di go più forti del mondo e il primo computer della Storia capace di tenergli testa in questo gioco antichissimo.
Conosco e pratico con scarsissimi risultati il go/baduk/weiqi dal 2012: come tutto ciò che riguarda la cultura orientale, lo ammiro e mi appassiona.
C’è chi dice che se gli scacchi sono una battaglia, il go è la guerra. Negli scacchi il giocatore impersona il re, nel go l’imperatore. E’ proprio vero: è un gioco vasto che replica la supremazia su un vasto territorio e può essere interpretato come un disegno bicolore che due persone cercano di dipingere a turno in modo equilibrato.
Non mi dilungo sulle regole (che sono 2 di numero peraltro) o le tattiche del gioco: a chi non sa niente basti sapere che per giocarlo bisogna controllare l’andamento locale di una battaglia, mentre si tiene il polso della situazione globale dell’impero. E per fare ciò, o si ha un occhio allenato e qualche altra magica facoltà, o si calcolano tutte le possibili configurazioni di gioco.
Per anni i computer hanno cercato di ottimizzare la seconda opzione, fallendo miseramente nell’impresa di padroneggiare quella che è una disciplina vera e propria.

Poi un giorno quei tizi di DeepMind, società acquistata da Google nel 2014 per la modica cifra di 400 milioni di dollari, hanno detto che il loro AlphaGo era in grado di giocare. Il loro bambino è un computer che fa uso di reti neurali, cresciuto ingurgitando partite umane e giocando contro se stesso per migliorarsi. Articolo di approfondimento.
Con un gruppetto di amici particolari, mi sono svegliata alle 5 per alcune mattine, per vedere con i miei occhi come AlphaGo era capace di battere il coreano Lee Sedol, dimostrando una strabiliante padronanza del gioco, oltre ad un’irritante mancanza di nervosismo ed emozioni di alcun genere.

Non che non mi aspettassi che un computer potesse vincere contro un umano in questo gioco; ad essere sincera, mi sembrava anche plausibile che ciò accadesse nel 2016: ciò che proprio non ero capace di immaginare era come questo computer potesse giocare.

E finalmente vengo al punto dei pensieri che volevo esporre, ispirati dall’articolo di Demis Hassabis, AD e cofondatore di DeepMind:

1) AlphaGo è basato sulle reti neurali, che sono algoritmi ispirati al funzionamento biologico delle, guarda caso, omonime reti neurali nel nostro cervello. Le reti neurali sono capaci di risolvere problemi complessi meglio dei classici algoritmi. Ma in sostanza sono un’imitazione della natura, che si rivela migliore dell’imitazione auspicata dai codici nei classici linguaggi di programmazione, i quali si fermavano all’apparenza, all’approssimazione dell’intelligenza come una prudente legislatrice.
Per questo non dovremmo gridare allo scandalo, pubblicare articoli con titoli del tipo “L’intelligenza artificiale supera l’uomo“. E’ l’uomo stesso che, finché non ha plasmato un’intelligenza che somigliasse a quella naturale, non è stato in grado di superarsi. Demis scrive: while the match has been widely billed as “man vs. machine,” AlphaGo is really a human achievement.
A questo proposito cito il caso di Tay: una sorta di bambina lasciata a scuola (su Twitter) in balìa dei bulli del web, che quando torna a casa, chissà come mai, dice le parolacce. Tay è un software di Microsoft che in 24 ore ha imparato a dire volgarità, sputare sentenze razziste e naziste. E’ un abominio dell’intelligenza artificiale? No: è un sistema virtuale programmato sbadatamente da intelligenze naturalissime.

2) Riporto un passo dell’articolo di Demis: “DeepMind trova soluzioni che gli umani o erano stati allenati a non giocare o non avrebbero considerato. Ciò ha un enorme potenziale: in altre aeree si potrebbero usare tecnologie in stile AlphaGo per trovare soluzioni che gli umani non necessariamente vedono.
Perfetto. Ora traduco: quando gli umani credevano di averle pensate tutte, quando si erano stufati di sforzarsi ulteriormente, plasmarono un computer che potesse inventare soluzioni desuete (cosa vi ricorda questa definizione?); vale a dire, quando avevano replicato con i computer tutti i compiti e le abilità note, replicarono l’unica qualità rimanente: la creatività, in modo da delegare persino l’esecuzione di ciò che contraddistingue l’uomo.

E con questo al momento ho terminato.

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